Freaks Out

DATA 2 Novembre 2021 - Antonio LUDOVICO

Freaks Out 

Esiste un movimento avvolgente e ipnotico, di onde e di vento, di suoni e rumori, di musica e dolore, impresso dal nuovo strabiliante film di Gabriele Mainetti. Che somiglia tanto a un kolossal,  ha poco del melodramma nostrano e riesce a mescolare storia e fantasy con riconosciuta perizia e abilità. Dopo cinque anni dal successo di “ Lo chiamavano Jeeg Robot”, il regista romano torna a parlare dei “diversi”, dei disadattati, di coloro che un tempo chiamavano freaks, ossia “scherzi della natura “, richiamando il capolavoro di Tod Browning del 1932. Lo fa con una storia che convince per articolazione e svolgimento: quattro artisti di strada, quattro saltimbanchi, ognuno con precise peculiarità- che si riveleranno punti di forza - alle prese con la ferocia del nazismo. Film ambientato in Italia, nel pieno della Grande Guerra, racconto che snocciola morti come se piovesse, che affascina per la capacità dei quattro protagonisti di tirarsi fuori dagli impicci, che sembra la riproposizione dei “Fantastici Quattro” di marveliana memoria. Tantissimi i riferimenti a Sergio Leone, tanti i rimandi a un cinema d’oltre frontiera, con l’assalto al treno, la corsa con i cavalli bianchi, i trucchi dei freaks, le fughe improbabili, la satira di un regime dispotico e crudele. Mainetti ha saputo mescolare con mano sicura gli innumerevoli ingredienti di un piatto ricco ed entusiasmante (con tanto di canti partigiani), non cadendo mai nella retorica o nello splatter; infatti, ogni scena sembra girata con mano ferma, il tecnico del suono avrà lavorato anche di notte, gli effetti speciali non provocano disturbo alla narrazione che procede spedita, le musiche costituiscono un corollario decisivo. Ma ciò lo si deve anche grazie alle prove superbe di Aurora Giovinazzo (nei panni della giovane Matilde, che elettrizza tutto ciò che tocca), Pietro Castellitto ( Cencio, ossia colui che ha un meraviglioso rapporto con gli insetti, tranne che con le api), Claudio Santamaria (l’uomo peloso dalla forza erculea) e Giancarlo Martini (il nano che attira i metalli). Il circo viene descritto come una felice metafora della vita, come l’unico posto per sbarcare il lunario, luogo ideale di sogni e incontri fantasmagorici. Tutto questo, anche grazie ad Israel (Giorgio Tirabassi), una sorta di figura paterna che i quattro devono liberare dai nazisti. Un film d’azione, che non annoia mai nonostante la lunghezza (2 ore e 21 minuti), che si stacca completamente dal panorama italiano degli ultimi anni, che indica strade e percorsi più coraggiosi. Lode a Mainetti per aver costruito, riteniamo con un budget non irrilevante, un piccolo kolossal che va bene per ogni fascia d’età e che trova il suo luogo preferito solo ed esclusivamente al cinema, non altrove. 
Voto:8
Antonio Ludovico

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