Jannacci e Califano, uniti da un comune destino

DATA 14 Ottobre 2021 - Antonio LUDOVICO

Jannacci e Califano, uniti da un comune destino 

Un destino beffardo se li è portati via, uno dopo l’altro (il 29 e il 30 marzo del 2013), in una Pasqua fredda e minacciosa. Jannacci e Califano, quanta distanza tra loro, quante barriere, quante vette da scalare, quanta passione. Eppure, a modo loro, amati con discrezione, quasi con pudore, come se appartenessero a due mondi distanti e diversi. Simboli di un’Italia che non c’è più, sembravano sgualcite copertine di un libro consunto dall’uso, malinconico, eppure prezioso nella sua felice varietà. Il primo, cantore di una Milano che si affacciava timida alla voglia di un cambiamento di un Paese in ricostruzione, ai primi richiami della musica giovane che ormai tutti chiamavano rock’n ‘roll, con le serate al Santa Tecla, poi il cabaret al Derby con i suoi figli migliori , da Gaber a Celentano, da Fo a Beppe Viola. Faceva il medico -chirurgo, ma era prestato alla musica in quanto artista sui generis, innovativo,dirompente, geniale. Inventore di uno stile nuovo, che si distaccava in maniera rivoluzionaria con la tradizione italica, che introduceva il parlato, le esclamazioni ripetute, il dialetto biascicato, il nonsense elevato ad arte. Il secondo era invece un cantore di borgata, un magnifico paroliere, ma anche un consumato seduttore, uno che la vita la prendeva a schiaffi, ma che talvolta dalla vita li riceveva.  Due mondi lontani, quindi, due universi paralleli che un incredibile destino ha voluto accomunare proprio nel tramonto della vita. Di Jannacci non si possono  non ricordare le tante canzoni che “recitava”, da par suo, nei teatri gremiti: dalla parabola amara di “Quelli che…”, scritta con l’amico Beppe Viola (prematuramente scomparso quando ancora aveva tante cose da dire), la beffarda ironia di “El purtava i scarp del tennis”, la famosa tiritera di “Vengo anch’io… no tu no”, l’amara “Vincenzina e la fabbrica “, la sognante “Andava a Rogoredo”, la melodiosa “Ci vuole orecchio” , la ritmata “Il bonzo”. Piccole gemme che intere generazioni hanno saputo apprezzare, ma che lo hanno fatto con discrezione, con calma, così come si fa con il vino, che lo si apprezza di più quando è invecchiato. Senza dimenticare le bellissime colonne sonore, da “Novecento “ di Bertolucci a “ Pasqualino settebellezze” della Wertmuller( che nel 1987 gli valse una nomination agli Oscar come migliore colonna sonora). Di Califano, detto il Califfo, anche le pietre conoscono il suo sempiterno cavallo di battaglia “Tutto il resto è noia “, parabola amara di un amore che stenta a decollare, manifesto mai tramontato di un’immagine che,  il cantante romano, si porterà dietro fino alla fine dei suoi giorni. Ma molti preferiscono ricordarlo per due perle regalate entrambe a Mia Martini: la splendida e sofferta “Minuetto”, scritta in collaborazione con Dario Baldan Bembo e la struggente “La nevicata del ‘56”, due inconfondibili marchi di fabbrica che restituiscono maggiore credibilità di quanta il personaggio, scanzonato e un po’ guascone, lasciasse trapelare. E che Califano fosse un artista a tutto tondo, lo dimostrano i tributi che i suoi colleghi gli hanno dedicato, le manifestazioni d’affetto, gli omaggi sinceri.  Al contrario, Enzo Jannacci era più schivo, meno guascone, più disincantato, meno irruente, più penetrante; era il simbolo di una Milano disinvolta, che amava sì la musica ma anche il teatro, che sapeva giocare con le parole, che riusciva a dare il meglio di sé proprio sul palcoscenico, nonostante la sua apparente timidezza, il suo malcelato imbarazzo. Due personaggi che potrei definire antitetici, ma che hanno lasciato una traccia profonda in un Paese che solitamente non è tenero con chi, come loro, spesso ha cantato sopra le righe, sopra gli spartiti, contro ogni facile convenzione, senza alcuna impostazione. Forse lo facevano per partito preso, forse per l’incessante bisogno di trasmettere qualcosa, ma io credo lo abbiano fatto perché erano artisti veri, che non fingevano e avevano un bisogno spasmodico di partecipazione. Ed è inutile aggiungere che ci mancano tantissimo.

Associazione Culturale Darvin.eu
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