“L’uomo dal fiore in bocca”

DATA 20 Dicembre 2021 - Salvuccio Conforto

Nella bomboniera del Teatro del Grillo di Soverato, diretto da Claudio Rombolà, uno spettacolo pieno di emozione e sana riflessione. 

Ho letto e poi recitato, fin da ragazzo,  “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello. Una narrazione

dell’epilogo di una vita, fatta con minuziosa maestria dal premio Nobel siciliano. Eppure la mia mente non aveva mai pensato che l’uomo dal fiore in bocca, che racconta la sua imminente dipartita, morisse veramente. Nella messa in scena, fatta da Francesco Zecca con una sempre più sorprendente Lucrezia Lante della Rovere , sin dalle luci sulla scena e dalle prime battute, si manifesta tangibile e sconcertante la dura realtà. L’uomo dal fiore in bocca è morto, morto davvero! Non so e non potremo mai saperlo se Pirandello avesse mai potuto accettare  che un personaggio di tale spessore e longevità artistica, badate senza nome e cognome, potesse morire senza neanche un funerale. Il personaggio della moglie poi, anch’ella senza un nome, ma solo “un’ombra di donna, vestita di nero, con un vecchio cappellino dalle piume piangenti “, mette a nudo l’amore che si prova verso la persona più cara. Il racconto riprende tutto il testo pirandelliano, cucito sul vestito rigorosamente nero di una donna sensibile, ma impotente di fronte alla morte. Le interlocuzioni che legano il testo originale, danno ancor di più un senso di pacata tristezza e sconsolante melanconia. Ma tutto questo non dà fastidio, anzi mette in evidenza, come dice l’autore,       che la vita “ va giudicata sciocca e vana cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla“. Uno spettacolo, che pur nella sua sintesi, apre nella mente dello spettatore una immensa distonia di sentimenti. L’amore e la morte prima di tutto . L’assordante silenzio che lo spettatore rispetta con rigorosa severità, spinge ai più disparti pensieri. Cosa sarà la mia vita senza il mio amore di sempre. Da domani voglio amare di più e sorvolare sul superfluo e l’effimero. E tanto tanto altro ancora.  

Lucrezia Lante della Rovere, immensa; tragicamente avvolta dal personaggio, con in mano tanti cespuglietti ‘d’erba, ( che sono quelli indicati dall’uomo dal fiore in bocca, che chiede all’avventore di raccoglierne uno abbastanza grosso, contandone i fili, “ tanti fili saranno tanti giorni: io vivrò “) rivive, insieme con lo spettatore, chiamato spesso in causa, la vita e la voglia di allontanare il più possibile il pensiero della morte. 

Uno spettacolo di grande impatto emotivo; un coraggioso e riuscito esperimento di andare oltre il testo. Paradossalmente oltre la morte c’è la vita e questo concetto viene enfatizzato nel finale, quando la protagonista canta a cappella :  vedrai vedrai che tutto cambierà…

Il teatro è vita , viva il teatro !!!

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